I patti successori sono una categoria di contratti o atti unilaterali che hanno come oggetto la successione di una persona non ancora defunta.
L’ordinamento civile italiano, a differenza di altri ordinamenti europei (Germania, Svizzera e Regno Unito), sancisce il divieto di patti successori. Tale espresso divieto trova la propria fonte normativa principale nell’articolo 458 del codice civile: “…è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.”
Il patto successorio istitutivo è un contratto attraverso il quale un soggetto viene nominato erede dal proprio futuro dante causa. Gli effetti prodotti da questo tipo di pattuizione sarebbero del tutto simili a quelli di un testamento. Un esempio di patto istitutivo potrebbe essere rappresentato dal contratto in cui “Tizio conviene con Caio, che Caio sia proprio erede”. La violazione della libertà testamentaria in questo caso è evidente.
I patti successori dispositivi sono quelli attraverso i quali un soggetto dispone per atto tra vivi di diritti che potrebbero essergli destinati all’apertura di una futura successione. Hanno generalmente natura contrattuale, ma astrattamente potrebbero anche essere atti unilaterali (ad esempio una donazione obnuziale avente ad oggetto un’eredità di una persona in vita).
I patti successori abdicativi sono quelli attraverso i quali un soggetto rinuncia ai diritti che gli potrebbero spettare da una successione non ancora aperta. I patti successori rinunziativi possono manifestarsi sia come contratto ma anche come atto unilaterale. Ai sensi dell’articolo 557 del codice civile, deve ritenersi colpita da tale divieto, anche la rinuncia preventiva dei legittimari all’azione di riduzione.
La Cassazione in una recente ordinanza 21 febbraio 2022, n. 5555, è ritornata ad affrontare la problematica relativa al divieto di patti successori.
Nel caso in esame, la Suprema Corte ha escluso l’esistenza di un patto successorio quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione, e la persona nella cui eredità si spera, abbia solo manifestato verbalmente, all’interessato o a terzi, l’intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo.
La promessa di istituire erede il prestatore d’opera in corrispettivo della sua attività – ove non risulti attuata mediante convenzione avente i requisiti di sostanza e di forma di un patto successorio (art. 458 c.c.), ma sia limitata ad una mera intenzione manifestata dal datore di lavoro – non costituisce menomazione della libertà testamentaria e non rientra, quindi, nel divieto di cui al citato art. 458.
In siffatta ipotesi, la indicata promessa non produce la nullità del rapporto di lavoro per illiceità dell’oggetto o della causa, ai sensi dell’art. 1418 c.c., ma è semplicemente rivelatrice della onerosità, nella intenzione delle parti, del rapporto stesso, per cui il prestatore d’opera ha diritto indipendentemente dalla promessa medesima – alla retribuzione che gli compete, secondo la natura e l’entità della prestazione.
Tale mera promessa verbale, non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è oggetto di tutela legislativa.
L’arresto giurisprudenziale è condivisibile perché in linea con la forte tutela della libertà testamentaria prevista dal legislatore italiano.
Nel nostro ordinamento, Il testatore può cambiare volontà rispetto alla propria successione fino ad un istante prima della sua morte.
Per questo motivo si ritiene che il testatore non possa essere vincolato contrattualmente a disporre per testamento in un determinato modo piuttosto che in un altro. La sua volontà è quindi assolutamente libera, fino alla morte.
Pertanto, la delazione successoria può essere solo legittima o testamentaria.
Non è previsto un terzo genere di delazione “contrattuale” o “pattizia”.