A partire dal 22 giugno 2022, le coppie di fatto potranno avvalersi della «convenzione di negoziazione assistita» se, nel momento in cui decidono di separarsi, dovessero trovare un accordo sull’ affidamento ed il mantenimento dei figli.
Il comma 35 dell’articolo unico della Legge 206/2021, prevede che la convenzione di negoziazione assistita può essere utilizzata anche tra i genitori non sposati per concordare:
– modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori dal matrimonio;
– modalità di mantenimento dei figli maggiorenni nati fuori dal matrimonio e «non economicamente autosufficienti»;
– gli alimenti;
– una modifica alle condizioni già stabilite.
Dunque, l’ambito operativo della convenzione di negoziazione assistita non è affatto ristretto ma può riguardare tutti gli aspetti di vita dei figli.
Per le coppie di fatto così come per le coppie sposate, esisterà comunque la possibilità di rivolgersi a un giudice per chiedere di stabilire le modalità di mantenimento, di visita e frequentazione dei figli.
Per quanto riguarda i figli, valgono le stesse regole previste per i genitori sposati relative alla bigenitorialità, affido condiviso, assegno, casa.
La negoziazione assistita ha dato già prova di funzionare per le coppie sposate: da quando è stata introdotta nel 2014 (decreto legge 132), il suo utilizzo è aumentato fino a raggiungere l’85% delle intese stipulate nel 2019 (dati CNF); da segnalare l’aumento dell’8,8% nel 2021 rispetto al 2019 (dati Istat).
Sottoscritto l’accordo da entrambe le parti e dagli avvocati, ci saranno 10 giorni di tempo per trasmetterlo al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente; deposito che può avvenire anche in via telematica all’Ufficio del Pubblico Ministero presso gli affari civili.
Il Pm esaminerà l’accordo e, se lo riterrà soddisfacente per gli interessi del minore, lo autorizzerà o, in caso contrario, l’accordo si trasmetterà entro 5 giorni al Presidente del Tribunale, il quale fisserà entro 30 giorni la comparizione delle parti.
Nel caso in cui l’accordo fosse ritenuto valido, non sarà necessario trasmetterlo al Comune di residenza. Nei registri di stato civile, infatti, non sono indicate le convivenze a meno che la coppia di fatto – avvalendosi della possibilità introdotta dalla legge Cirinnà (76/2016) abbiano registrato la convivenza all’Ufficio anagrafe mediante la Carta di convivenza che ha il fine di ufficializzare il legame e lo stato di coabitazione nella residenza indicata.
La legge ha esteso alle coppie registrate molti diritti: visite al partner detenuto o ricoverato; assistenza ospedaliera ed accesso alle informazioni sulla salute del partner; possibilità di effettuare scelte mediche se il partner è incapace; decisioni funerarie e sulla donazione degli organi; idoneità a farne da tutore, curatore, amministratore di sostegno, se interdetto o inabilitato, permanenza del superstite nella casa familiare dopo la morte del partner per due anni o periodo pari alla convivenza se superiore al biennio, non oltre 5 e minimo 3 in presenza di figli minori o dosabili, partecipazione agli utili dell’impresa familiare, alimenti all’ex se indigente.
Nessun diritto successorio. Pertanto se si vuole garantire il convivente, lo si dovrà nominare erede o renderlo beneficiario di un’assicurazione sulla vita.
Le coppie conviventi possono stilare anche un contratto di convivenza con atto pubblico o con scrittura privata autenticata da un Notaio, con il quale regolare tutte le questioni economiche e patrimoniali dell’organizzazione familiare inclusa la scelta del regime di comunione dei beni, proprio come accade quando ci si sposa.
Nell’atto è possibile concordare la misura e le forme di contribuzione alla vita familiare tenendo conto delle rispettive capacità lavorative.
Il contratto si estinguerà per morte o volontà di una o entrambe le parti, per matrimonio o unione civile fra le parti o con terze persone, per cessazione della coabitazione dichiarata.
Se ci sono più condotte violente o minacciose, anche nell’ipotesi di convivenza, si configura ovviamente il reato di maltrattamenti in famiglia.
La Cassazione con la sentenza n. 30129/2021 ha affermato che i maltrattamenti in famiglia sussistono anche se i comportamenti proseguono dopo la cessazione della convivenza fra l’autore e la vittima sempre se non siano venuti meno i vincoli di solidarietà scaturiti dal legame che si era instaurato (ad esempio gestire questioni inerenti ai figli).
I figli nati fuori dal matrimonio hanno gli stessi diritti di quelli nati da coniugi ed i genitori hanno gli stessi obblighi dei separati e divorziati e cioè quello di contribuire al mantenimento dei figli con un assegno calcolato sulle esigenze della prole, sul tenore di vita goduto nel corso della convivenza e sulle risorse economiche di ciascuno.
Il convivente che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere da solo al proprio sostentamento, può ricevere dall’ex convivente un assegno alimentare che spetterà per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e sarà calcolato in base al grado di indigenza ed anche alle condizioni economiche del soggetto tenuto a versarlo.