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La sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (PAS, dalla formula in inglese) è  una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva nei figli minori coinvolti nelle separazioni conflittuali dei genitori. Si tratta di una presunta “programmazione” dei figli da parte di uno dei due genitori (definito “genitore alienante”) che porta i figli a dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore (definito “genitore alienato”). Sarebbe un incitamento ad allontanarsi da uno dei due genitori, portato avanti intenzionalmente dall’altro genitore attraverso l’uso di espressioni denigratorie, false accuse e costruzioni di «realtà virtuali familiari». di astio e di rifiuto non nascano da dati reali e oggettivi che riguardano il genitore alienato.

“L’alienazione parentale”, continua a trovare applicazione nei tribunali italiani durante le cause di separazione e di affidamento dei figli, nonostante la mancanza di prove scientifiche a supporto della stessa, in quanto essa non è intesa come sindrome di cui soffrono i minori, ma come condotta attivata all’interno di una famiglia che si sta sfaldando e che viene ritenuta esistente nel momento in cui i bambini non vogliono più vedere uno dei due genitori.

In casi di maltrattamento,  l’alienazione genitoriale viene spesso utilizzata in maniera strumentale «dai padri maltrattanti nelle aule giudiziarie per screditare le donne che in sede di separazione richiedono protezione a favore dei figli che si rifiutano di incontrare il padre perché traumatizzati dai suoi comportamenti violenti». In sostanza si finisce spesso per non riconoscere il trauma dei bambini e delle bambine e per colpevolizzare invece la madre (già vittima di violenza) ritenendola responsabile di comportamenti che vengono definiti come atti di alienazione parentale

Il consulente tecnico di ufficio svolge un ruolo fondamentale nei casi di affidamento particolarmente complicati. Nella sua indagine, deve prendere in considerazione diversi fattori: se l’ambiente in cui dovrà stare il bambino è adatto, se c’è sufficiente cura psicologica del figlio, sufficiente protezione e stimolazione intellettuale e deve decidere l’idoneità genitoriale di entrambi i genitori.

Talvolta ci si è trovati nella situazione paradossale di un uomo violento con la ex moglie che può essere considerato comunque un padre con pieni diritti, se sul bambino non ha mai esercitato una violenza “diretta”. Senza tenere in considerazione il cosiddetto maltrattamento assistito, cioè la violenza che la Convenzione di Istanbul definisce come l’assistere alla violenza esercitata dal padre sulla madre. Il bambino che ha subito un maltrattamento assistito e che ha paura del maltrattante resta spesso inascoltato mentre la sua paura viene attribuita alla madre malevola che lo ha alienato.

La violenza subita dalla donna passa insomma in secondo piano, anche nel caso sia il bambino stesso ad averla vissuta, perché si parte dal principio che un genitore adeguato è quello che favorisce la relazione con l’altro, qualsiasi cosa sia successa prima.

Con una sentenza storica del 24/03/2022, la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello che aveva stabilito la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre ed il trasferimento di suo figlio in casa famiglia.

La Suprema Corte ha affermato l’illegittimità della alienazione parentale, la superiorità dell’interesse del bambino rispetto al diritto alla bigenitorialità e la condanna dell’uso della forza nei confronti dei minori.

“In nome della bigenitorialità non si può privare il minore della figura materna con la motivazione di alienazione genitoriale”. Gli Ermellini considerano inumano e degradante il trattamento di allontanamento dei bambini dalle madri con la forza pubblica dichiarando “ogni forma di coercizione sui minori è fuori dallo Stato di diritto”. 

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